Sono chiamati specialty tutti quei caffè che non hanno difetti all’origine, individuabili tra difetti primari, quelli che caratterizzano la negatività del caffè, e secondari (meno gravi rispetto agli altri) gli unici a essere ammessi in quantità minima, in un campione di 350 grammi. Questi si manifestano nella forma e nel colore e la loro individuazione viene eseguita solo manualmente da una persona specializzata, nonostante l’agricoltore in piantagione abbia già effettuato una prima scrematura (nello stesso laboratorio di torrefazione può capitare di isolare dei chicchi “malati”).

Qui intervengono i Q-grader, alias assaggiatori in grado di valutare oggettivamente la qualità del caffè, che sappiano esaminare sia il caffè ancora verde sia tracciare poi un identikit di aroma e gusto. In un rapporto con votazione che varia da 70 a 100, sopra gli 80 punti un caffè diventa specialty secondo i parametri della SCA (Specialty Coffee Association).

“Noi ci occupiamo di trasformare il chicco di caffè ancora verde, a seconda dei differenti mercati. Ogni caffè è unico – spiega Emanuele Tomassi – e ha bisogno di una propria curva di tostatura. Se fino a qualche anno fa il tostatore esprimeva il proprio giudizio in base al colore del caffè, da un po’ di anni a questa parte, invece, si è capito che la tostatura è un processo scientifico ottenuto da una curva misurabile con una sonda”.